UNO SCRIGNO DI PIETRA DIPINTO

UNO SCRIGNO DI PIETRA DIPINTO

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Ripiegarsi sulla storia e sul recupero di un edificio di pregio, sia monumentale sia artistico, come villa Barbarich ha voluto dire riscoprire una storia secolare di cui si conoscevano molti estremi ma di cui sfuggiva il quadro generale di riferimento in mancanza, soprattutto, di un corretto restauro conservativo. I dati emersi da quest’ultimo e il parallelo approfondimento delle fonti hanno portato a mettere in giusta luce un’importante avventura non solo architettonica ma soprattutto decorativa consumata all’interno delle sue mura antichissime, dal momento che il suo nucleo centrale risulta documentato intorno alla metà del XIV secolo, lasciato per testamento ai nobili Marcheselli da Rimini.

È così emerso quello che è stato metaforicamente chiamato “scrigno di pietra” a significare la consistenza architettonica del monumento, sottolineando la sua funzione di prezioso contenitore. L’aggettivo “dipinto” fa riferimento all’ampio ciclo pittorico che alla fine del Cinquecento un cantiere complesso e articolato ha disteso sulle pareti del piano nobile.
Inoltre, nel suo insieme “scrigno di pietra dipinto”, disvela il vero genio del monumento.
Il termine “scrigno” difatti rimanda alla presenza di un committente talmente caratterizzato dalla sua perizia e testimoniato fino a noi da molteplici fonti documentarie col solo aggettivo della sua arte: Orefice, non solo, seguito da un toponimo, talmente ripetuto e sotteso a quest’ultima, da essere considerato quasi un predicato: Al Lionfante: l’elefante che trionfava sull’insegna della sua “officina” a Rialto.

La presenza di questa enigmatica figura alla fine del XVI secolo, nell’oikos della villa, se da una parte giustifica economicamente e culturalmente il dispiegarsi dei suoi affreschi, dall’altra rimanda a orizzonti molto più ampi e che vanno ulteriormente approfonditi.
Infatti, emergono rapporti economici con la corte dei Gonzaga ma anche con i suoi numerosi artisti che, in più modi, sono legati con fili rossi alla dimora di Zelarino.
In successione storica, Giulio Romano, Giovan Battista Bertani, Giorgio Ghisi, Battista Zelotti, tutti nomi che ritroviamo legati alle storie distese sulle pareti della villa. Non solo, questi nomi hanno un rapporto diretto anche con il mondo dei gioiellieri, dei disegnatori di gioielli e degli incisori provenienti dal mondo fiammingo, come i Sadeler, i Wierix, Philip Galle, anch’essi presenti in relazione con gli affreschi della residenza suburbana che fu prima dei nobili Malipiero.

Il disvelamento della storia costruttiva, dei suoi materiali e delle sue tecniche, dei committenti e dei loro ambiti economici e culturali, hanno permesso di ricollocare l’episodio storico nel panorama più ampio della storia veneta venendo così a costituire il secondo titolo di quella che si prospetta come il costituirsi di una collectanea di cui la pubblicazione su villa Marcheselli- Malipiero-Barbarich, dopo quello di palazzo Marcello-Pindemonte-Papadopoli-Friedemberg di Venezia, Sotto il Segno dell’Onda Dorata e del Sole Splendente, costituisce il secondo volume.

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