La breve riflessione che ci si accinge a svolgere si pone un duplice obiettivo: sollecitare la curiosità del giovane, principale destinatario del doveroso studio della Divina Commedia, e al contempo ricordare anche a tutti gli altri lettori che Dante, come i veri classici, è vivo.[1]
Ritengo che il pensiero serale o notturno più spaventoso che possa attraversarci la mente sia quello di un’eternità di dannazione. Cosa può significare per noi affrontare un contesto di dolore e sofferenza che non cambierà mai? È troppo da sopportare. A quel punto, anche un lieve miglioramento potrebbe apparirci magnifico.
Questa è ad avviso di scrive l’attualità della descrizione dantesca, con particolare riferimento all’Inferno prima e al Purgatorio poi. E la modernità del tratto non si esaurisce in questo aspetto, dato che i dubbi identitari e di anima di Dante Alighieri sono tutti innestati nella narrazione stessa, mentre a. e. quelli di William Shakespeare sono da ricercare anche nel vuoto pneumatico che circonda la sua persona (si vedano tutte le varie correnti – oxfordiane, ecc. – che vogliono restituire un volto preciso e diverso all’identità del Bardo). Ricerche così inquietanti e approfondite da spingere ognuno di noi non tanto ad affermare entusiasti “Ecco, è chiaro, è lui: è il Conte De Vere. Ci sono tutti gli indizi!” (o Bacon, Marlowe, ecc.), quanto piuttosto a chiedere a noi stessi: “E io chi sono?”. Una confusione desolata e modernissima.
Dante è introspettivo, perché il suo cammino del castigo, della fantasia e della salvezza è già tutto presente nella sua poetica e nel suo genio; non è da ricercare altrove.
Quando si cita la politica nella sua opera, si potrebbe terminare di esaminarla dopo giorni di convegni, letture, ricerche e approfondimenti: fascia A, si direbbe in termini accademici. Eppure come mai tantissimi studenti la saltano a piè pari, annoiati a morte? Se ne distaccano, attanagliati però da un forte sentimento di paura che connoterà i loro tre anni di liceo, spingendoli quasi a parlare da soli: “Il/la docente mi chiederà il Canto… da un momento all’altro e in quel caso io sono finito”. Giornalisti e divulgatori hanno provato a riavvicinare gli scettici alla grande letteratura, spesso indovinando la tecnica vincente. C’è chi, come Aldo Cazzullo nel 2020, ha proposto con grande successo di critica e di pubblico versioni in prosa dell’epopea dantesca, rendendo la saga realmente comprensibile ed emozionante per tutti: un’universalità di destinatari – studenti, lettori – davvero degna di menzione, generosa e di qualità.
In ogni caso, in quanto precursore e studioso del pensiero negativo, Dante è maestro nell’utilizzare i contrari. La presenza arteriosa della politica nel dipanarsi della trama è infatti (per certi versi e paradossalmente) invisibile, o quantomeno è rappresentata con una tale forza chimica che il lettore potrebbe scegliere l’esilio in un eremo, dopo aver apprezzato e compreso i modernissimi intrighi presenti nei dialoghi. Troppa l’amarezza per una nazione dilaniata, popolata da personaggi doppi, abietti, privi di carisma, ma mossi da una sete di potere che non può essere mai soddisfatta, settecento anni fa come nell’oggi.
Per questo chi legge oppure subisce involontariamente la Commedia – e in questa bipartizione mi sentirei di inserire tutti quanti noi, chi nel primo, chi nel secondo gruppo – può tanto appassionarsi ai frammenti screziati della questione politica moderna (la politologia) o antica (la Storia), quanto invece rifugiarsi in altri labirinti solitari, quali la psiche. In ogni caso, sempre di fuga si tratta: fuga dalla realtà, un escapismo nella sua “versione 2021” (ricorrenza della morte di Dante).
Rimanere fedeli all’amore
Se si adotta la seconda prospettiva, ovverosia quella individuale, un’ottima resa documentaria sul punto è data dal recente “Il mistero di Dante”, in cui il poeta è interpretato dal colto e carismatico Murray Abraham,[2] in un ruolo che tanto richiama la figura di Dante quanto gli interrogativi un po’ esoterici che può porsi lo spettatore.[3]
È un caso più unico che raro in cui, in luogo di ricorrere alle figure dei doppi, Doppelgänger, Tulpa, ecc., l’attore incarna tanto il personaggio (Dante Alighieri) quanto l’everyman, l’uomo qualunque, dubbioso. L’esempio principale è costituito appunto dallo spettatore, chi ha visto il film distribuito in poche sale d’essai nel 2014, oppure poi in televisione o Dvd: Dante infatti infrange le regole cine-visive, guarda in obiettivo e parla, per tutta la durata del film. A volte afferma perentorio alcune verità (ed è il Poeta), altre volte tentenna, insicuro (parla con noi, o meglio: siamo noi a parlare). La pellicola si caratterizza poi per i commenti di autorevoli esperti di letteratura e arti audiovisive (F. Zeffirelli, V. M. Manfredi, G. La Porta), che conferiscono un poco di necessaria linearità a una narrazione di per sé molto suggestiva.
Esaltare le qualità estetiche e speculative dei versi di Dante è una scelta più attuale che mai, e ben si attaglia al migliore immaginario letterario e sociale dei nostri tempi. È chiaro che il percorso narrativo della commedia si colloca a mezza via tra magia e religione: due elementi inscindibili, che costituiscono anche la causa del loro reciproco fallimento. Lo studioso James George Frazer è netto nell’affermare che tale contatto non potrà mai offrire risultati concreti, ma al massimo promesse sognanti e un po’ visionarie. Come se si fosse andati a stimolare qualcosa attaccato al niente, per parafrasare uno dei più significativi brani dell’antropologo scozzese.
Ci si renderà dunque conto che cultura alta e cultura bassa, ammesso che abbia senso tale distinzione (e che ci si potrebbe divertire a capovolgere), sono intrise del canone occidentale della Commedia.
Il Diritto stesso e i suoi operatori sono del tutto immersi nella cultura dantesca, ma forse a loro insaputa, giacché non si scorge traccia di omaggi alla sua letteratura nemmeno nelle materie più ariose e nei relativi manuali celebri (si pensi alla Storia del Diritto, o alla Metodologia del Diritto). La simulazione (artt. 1414 ss. c.c.), la contraffazione (art. 473 c.p.): molti istituti di diritto civile ovvero di diritto penale sembrano – quantomeno nella loro veste teorica – posti in essere da alcuni dannati celebri, giustamente puniti da Dante con contrappassi che un qualunque consociato “deluso” applicherebbe loro assai volentieri!
Inoltre non si può negare che l’impatto sulla cultura “moderna” – “popolare” è un termine decisamente poco rispettoso – sia notevole.
Dai richiami più sfacciati ed evidenti nelle saghe underground per i giovanissimi (ingombranti romanzi fantasy statunitensi, oppure videogiochi quali Devil May Cry e Dante’s Inferno) sino a tutto l’impianto estetico di molte saghe narrative o musicali classiche, la visione di Dante salva, mette sempre al riparo da qualsiasi giudizio soggettivo: il tal film, di per sé destinato a sparire nell’oblio, o il romanzo poliziesco anonimo o, peggio, sciatto si giustificano proprio perché richiamano ipotesi concettuali o letterarie di castigo, di salvezza o di redenzione. O comunque si rifanno all’architettura cromatica dell’oscuro, del sanguinolento, del sotterraneo, del doppio, della simulazione.
Dante sarà anche morto nel 1321, ma sembra davvero rinascere oggi.
Bibliografia
Dante Alighieri, La Commedia, Carocci
Mark Anderson, “Shakespeare” by another name, Gotham Books
Aldo Cazzullo, A riveder le stelle, Mondadori
Gustave Doré, La Divina Commedia di Dante Alighieri, Mondadori
Marco Ferri, Emergenze dantesche, [LINEA edizioni]
James Frazer, Il ramo d’oro, Bollati Boringhieri
David Katz, La tradizione occulta, Mondadori
Ursula K. Le Guin, Steering the craft, Mariner Books
Ursula K. Le Guin, The wave in the mind, Shambhala Pubns
Sitografia
https://torino.repubblica.it/cronaca/2014/01/30/news/abraham_un_premio_oscar_per_il_mistero_di_dante-77337062/
https://tseliot.com/prose/what-dante-means
Filmografia
Hannibal (2001), R. Scott
Il mistero di Dante (2014), L. Nero
Seven (1995), D. Fincher
[1] Si veda sul punto la celeberrima lezione di T. S. Eliot.
[2] Interprete di Amadeus, Scarface, Il nome della rosa, il recentissimo Robin Hood. Una carriera prestata soprattutto a ruoli storici di grande rilievo culturale e cinematografico.
[3] Non è casuale la citazione nel documentario citato dei Fedeli d’Amore, presunta setta iniziatica di cui fecero parte Alighieri e Cavalcanti.